Finanza

Finanza (7)

Nel precedente articolo abbiamo definito quello che può essere la buona regola perché si realizzi un certo equilibrio finanziario in azienda e cioè:

“calibrare Impieghi a breve termine con Fonti di finanziamento a breve termine e Impieghi di medio-lungo termine con Fonti di finanziamento di medio-lungo termine e, contemporaneamente, monitorare i tempi di ri-trasformazione in liquidità degli impieghi stessi perché, altrimenti, potrebbero essere necessari anche dei correttivi proprio in termini finanziari (e mi sento di dire, per esperienza, che i correttivi non sono casi rari).”

Dopo aver evidenziato come può essere impiegato il capitale disponibile in azienda, è il momento di evidenziare quali possano essere le Fonti del capitale, in parole povere da dove possa provenire la liquidità che l’azienda ha a disposizione.  

Possiamo distinguere sostanzialmente due principali Fonti di capitale:

  1. 1) Il CAPITALE PROPRIO;
  2. 2) Il CAPITALE DI TERZI.

Il Capitale Proprio è costituito dal capitale che normalmente apporta la proprietà dell’azienda ed è un capitale che, in estrema sintesi, assume due forme principali:

  • - Il Capitale Sociale: capitale di lungo termine che, al limite, viene immesso in azienda senza dover essere restituito;
  • - I Finanziamenti da parte dei soci: forma di capitale che viene immesso in azienda da parte della proprietà per far fronte a necessità temporanee dell’azienda stessa. Proprio perché è la proprietà che decide di sostenere finanziariamente l’azienda, anche se i finanziamenti dovrebbero essere restituiti, questi finanziamenti potrebbero al limite anche essere considerati come una Fonte a medio-lungo termine.

Per la loro natura queste Fonti possono essere utilizzate in azienda per finanziare sia investimenti in immobilizzazioni sia investimenti in capitale circolante in quanto la finalità di tali fonti è proprio quella di “far funzionare” l’azienda.

Che cosa possiamo dire di queste due fonti. 

Innanzitutto, semplificando, il capitale sociale iniziale di un’azienda dovrebbe essere costituito da un ammontare di denaro sufficiente a far partire l’azienda e a sostenerne le necessità finanziarie che possono derivare dalla gestione della stessa. 

Il capitale sociale iniziale, quindi, dovrebbe servire per investire in attrezzature, macchinari e per far fronte a quei costi di gestione necessari affinchè l’azienda produca i propri prodotti e/o servizi che una volta rivenduti facciano rientrare almeno la liquidità investita nel capitale circolante ed in più producano un certo reddito utile a:

  • - ripagare una parte delle attrezzature/macchinari (che hanno un tempo di utilizzo più lungo) e
  • - remunerare l’attività svolta in modo, poi, da creare possibilmente un certo livello di autofinanziamento della società.

Ovviamente abbiamo semplificato di molto i concetti ma ci preme soprattutto evidenziare che anche in fase iniziale (adesso va di moda dire in fase di start up), quantificare le necessità finanziarie è assai importante perché altrimenti si rischia di partire già zoppi. Che succederebbe, infatti, se il capitale immesso inizialmente non fosse sufficiente a far fronte a tutte le necessità finanziarie?

Ecco perché prima di partire è fondamentale redigere un business plan ben ragionato. Il suo obiettivo principale è proprio quello di evidenziare le necessità finanziarie del business in modo da evitare spiacevoli sorprese in corso d’opera.

L’altra forma di capitale proprio è rappresentata dai Finanziamenti soci che, come abbiamo già detto, possono rappresentare delle iniezioni di liquidità necessarie per far fronte a emergenze più o meno temporanee dell’impresa oppure possono essere anche utilizzate per dar corso a dei progetti aziendali.

L’altra Fonte di capitale, altrettanto importante, è costituita dal Capitale di Terzi che può rivestire la forma di:

  • - Capitale bancario di medio-lungo termine;
  • - Capitale Bancario di breve termine;
  • - Finanziamenti/leasing vari da istituti finanziari;
  • - Credito concesso dai fornitori;
  • - Altre forme di credito concesso all’azienda.

L’ammontare di tutte queste voci rappresentano, di fatto, liquidità che l’azienda ha ottenuto da fonti diverse dai propri soci e, quindi, sono indice anche della credibilità che l’impresa ha avuto nell’ottenerli.

Chi concede credito all’impresa, ovviamente, lo fa a certe condizioni, normalmente rappresentate da:

  • - Ammontare del credito;
  • - Oneri finanziari sul credito concesso;
  • - Durata stabilita per la restituzione dell’importo;
  • - Oneri e clausole di salvaguardia accessori alla concessione del credito.

Anche il ricorso al capitale di terzi è assai importante per l’impresa perché capita che l’impresa, nel suo sviluppo, abbia la necessità di ottenere della liquidità che i soci magari non hanno a disposizione, oppure perché l’impresa ritiene che, grazie ad un’ulteriore immissione di capitale, sarà in grado di sviluppare ulteriore business capace non solo di restituire il capitale ottenuto a prestito e di pagare gli oneri relativi, ma di ottenere anche un extra utile per l’azienda stessa;

Si capisce bene, anche se abbiamo voluto semplificare al massimo certi concetti, come anche in questo caso le dinamiche aziendali che riguardano l’utilizzo, variabile nel tempo, di capitale proprio e capitale di terzi possano diventare molto complesse e tendano a sfuggire di mano, soprattutto al crescere delle dimensioni aziendali e al crescere, quindi, del numero e del volume delle transazioni che si mettono in pista.

Anche qui il nostro consiglio è quello di fare, quanto più possibile, tutti i ragionamenti necessari per mantenere i giusti equilibri nel tempo.

Ragionare in termini economici di marginalità di business e capacità di restituzione/remunerazione delle varie forme di capitale utilizzate è assolutamente essenziale, come è essenziale riuscire ad analizzare e programmare al meglio le necessità finanziarie dell’azienda. Solo ragionando ad ampio spettro e con cognizione di causa, infatti, si riuscirà a muoversi per tempo e a fare le mosse giuste. 

L’alternativa sarà quella di rincorrere continuamente l’emergenza senza capire da dove questa arrivi e, soprattutto, farvi fronte con strumenti poco idonei se non quando errati e controproducenti.

Mercoledì, 07 Aprile 2021 17:09

La Banca e l’accesso al credito

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Sentiamo sempre più spesso dire: “…le Banche non concedono più credito” o “…è sempre più difficile ottenere credito dalle Banche”.

A tali affermazioni rispondiamo con qualche domanda, seguita da alcune considerazioni. 

Innanzitutto, poiché l’interlocutore è quasi sempre un imprenditore, gli chiediamo se sarebbe disponibile a concedere una fornitura di merce o di un servizio ad un’azienda che gode di poca credibilità o per nulla attendibile; se sarebbe disposto a dilazionare il pagamento, anche se l’azienda fosse poco affidabile.

Ecco, la risposta che riceviamo è quasi sempre “NO!”. 

Con questa semplice riflessione spieghiamo perché molto spesso il “NO” ricevuto da una banca è probabilmente, anzi sicuramente, frutto di tre gravi mancanze: una discutibile reputazione (rating finanziario) del richiedente, una “forma” inadeguata con la quale si effettua la richiesta ed una mancanza di pianificazione in grado di garantire una sufficiente capacità restitutoria del credito richiesto.

Analizziamo quanto detto e cerchiamo di capire come si svolgono le dinamiche della richiesta di credito. 

Innanzitutto, vediamo di dare una prima definizione di rating: è un giudizio che viene espresso da un soggetto esterno all’azienda, sulle capacità di questa di pagare o meno i debiti. Le valutazioni comprendono vari aspetti, per esempio, al fine di comprendere la capacità che la società ha di fronteggiare il pagamento dei propri impegni finanziari, si valutano: i flussi di cassa, la redditività, il posizionamento sul mercato, l’indebitamento finanziario netto, ma anche aspetti qualitativi, quali l’affidabilità del management. Non mancano, inoltre, considerazioni di natura esterna alla singola società, come il contesto macroeconomico, perché è evidente che una cosa è operare in un’economia in forte espansione e un’altra è farlo in piena recessione.

Il rating bancario, cioè l’indice di solvibilità e affidabilità derivante dall’analisi sul comportamento e sull’uso degli strumenti finanziari, nonché la valutazione degli asset economico/finanziari dell’azienda, determina il merito creditizio, cioè quanto l’azienda è affidabile e quanto l’azienda è strutturata per garantire il rimborso del finanziamento. Per correttezza dobbiamo sottolineare che i rating di valutazione sono almeno due: il rating interno della Banca e il rating della Centrale Rischi prodotto da Banca d’Italia. 

Cercando di semplificare la spiegazione delle dinamiche di costruzione e funzionamento, il rating interno alla banca è definito principalmente dai volumi d’indebitamento e, soprattutto, dal comportamento sull’utilizzo degli strumenti finanziari concessi all’azienda dalla banca stessa. Il rating della Banca d’Italia viene elaborato e definito con dati aggregati, forniti ogni fine mese da tutti gli istituti di credito operanti con l’azienda. In altre parole, la Banca d’Italia raccoglie i dati di ogni singola posizione bancaria e li sviluppa in una forma aggregata, cioè raggruppando per strumenti omogenei, il comportamento dell’azienda. 

Del resto è anche lecito chiedersi, quanti imprenditori conoscono il proprio rating Bancario? Quanti conoscono le dinamiche per migliorare il proprio merito creditizio?

Parliamo ora della forma di comunicazione che spesso avviene tra l’azienda e l’Istituto Bancario. Siamo alla presenza di due realtà che parlano due linguaggi completamente diversi, sia per cultura che per concezione temporale. L’azienda richiede finanza o per esigenze di liquidità (presente) o per finanziare un’attività, per un progetto di miglioramento nei processi produttivi/commerciali o per lo sviluppo del proprio business (futuro). La Banca valuta la concessione di credito sulle “credenziali” dell’azienda, ovvero sulla base dell’analisi dei dati storici (passato).

I bilanci, in particolare, dovrebbero essere espressione del valore delle aziende e, sulla base di tale valore, le Banche dovrebbero essere in grado di valutare (rating) quanta fiducia concedere loro in termini di credito. Il condizionale è d’obbligo in quanto, ciò che prima aveva un valore sulla base del quale concedere del credito (i, così detti, Beni Materiali: il capannone, il magazzino, i macchinari ecc.), oggi, in realtà, non sembra più essere indicatore di quanto un’impresa sia affidabile e ci si è accorti di quanto tale sistema di valorizzazione e di valutazione sia risultato fragile e fuorviante. Ne deriva che gli elementi storici non solo non sono così determinanti per la valutazione e concessione di credito, ma sono addirittura insufficienti.

Oggi assumono un’importanza fondamentale in questo senso i Beni Immateriali come ad esempio:

  • - I marchi, i brevetti, la qualità dei reparti R&D e Progettazione;
  • - Il capitale Intellettuale dell’azienda, composto dalla qualità delle persone interne all’organizzazione e dei professionisti esterni di supporto all’impresa;
  • - La Vision, la Mission ed il Modello di Business dell’impresa;
  • - La concezione del prodotto;
  • - Le strategie di Marketing, l’efficacia della comunicazione e l’individuazione corretta dei target di clienti;
  • - La rete commerciale, l’accesso ai mercati e la capacità di recepire le loro esigenze;
  • - I servizi al cliente;
  • - La finanza e la gestione dei flussi di cassa.

Sono questi tipi di Investimenti e di accorgimenti che danno un valore alla struttura in Beni Materiali (il capannone, il magazzino, i macchinari, ecc.), in quanto permettono a quest’ultimi di lavorare nel futuro e di creare reddito. È la capacità dell’azienda di produrre reddito che diventa il principale focus e la vera garanzia per la banca di concedere credito in “sicurezza”. 

Comunicare tutto questo ad un sistema bancario, ancora oggi legato a processi di valutazione e di affidamento basati esclusivamente sui dati storici, e riuscire, invece, a trasferire le potenzialità di generare ulteriori profitti dall’iniziativa oggetto per la quale si richiede un finanziamento, non è per nulla semplice. 

Anche la Banca si deve aggiornare ed evolvere nei propri parametri e strumenti di valutazione. Non basta più un’analisi di tipo quantitativo sul passato o sul presente dell’azienda; le semplificazioni numeriche (i bilanci e le relative analisi) non sono in grado di evidenziare appieno i rischi dell’azienda e, soprattutto, non forniscono informazioni su un possibile futuro delle imprese. Dunque, i rischi latenti per gli Istituti di Credito aumentano in modo proporzionale all’aumento della complessità della realtà e lo dimostrano i crescenti dati relativi alle posizioni di sofferenza e, soprattutto, la velocità di degenerazione delle posizioni delle imprese clienti. Da qui la difficoltà a misurare l’effettivo grado di rischio per ogni impiego e, soprattutto, la mancanza di strumenti d’ allerta e controllo sull’evoluzione delle attività per le quali è stato erogato il credito. 

Serve una “nuova figura” che affianchi l’Istituto di Credito (rappresentato dal gestore), da un lato per completare l’analisi quantitativa delle aziende clienti con un’analisi che non può essere altro che di tipo qualitativo, e dall’altro che fornisca anche un servizio di monitoraggio/guida, rispettivamente utili sia per l’istituto che per l’azienda.

 

In questo modo si raggiunge per l’Ente erogante un duplice risultato: avere un quadro maggiormente dettagliato sul modello di business rappresentato dall’azienda richiedente ed una costante relazione sull’evoluzione del progetto finanziato, rispetto anche alla possibilità prospettica d’ insorgenza di criticità. 

A seguito delle precedenti considerazioni, possiamo indicare come unica soluzione utile ad uscire da questo cul-de-sac, una evoluzione del rapporto Banca/Azienda attraverso l’intervento di un soggetto terzo in grado di elevare la sicurezza della prima e l’affidabilità della seconda.

In altre parole, se non si attivano tutte quelle azioni che consentono di migliorare il RATING FINANZIARIO dell’azienda e non si formula la richiesta attraverso una comunicazione proattiva del PIANO STRATEGICO DELL'IMPRESA (che ne garantisca la continuità attraverso uno specifico e attento PIANO ECONOMICO- FINANZIARIO, il Business Plan, da parte dell’azienda), e la banca non rivede il modello di valutazione – analisi, monitoraggio e controllo – l’incontro tra domanda e offerta di credito sarà sempre più difficile e la risposta sarà, inesorabilmente, un “NO!”.

In ambito finanziario il Sistema Bartners ha, fra le altre cose, anche queste finalità: migliorare la comunicazione della strategia economico-finanziaria dell’Impresa in senso qualitativo, oltre che quantitativo e in maniera prospettica, seguendo l’evoluzione dell’attività oggetto di finanziamento, ponendo in essere un monitoraggio costante, al fine di mantenere aggiornato il flusso d’informazioni con l’Istituto di Credito e assicurare la sostenibilità del finanziamento, anche qualora l’evoluzione dello stesso incontrasse momenti di difficoltà e/o criticità da risolvere. Infatti, essendo una prerogativa del Sistema Bartners quella di trovare tempestivamente soluzioni mirate alle necessità che di volta in volta possono insorgere, ogni progetto può essere sostenuto e accompagnato nella sua realizzazione grazie ad innovativi protocolli operativi.

Si tratta, dunque, di una garanzia per entrambe le parti: la banca può finanziare l’azienda ponendo in essere nuovi strumenti di analisi, di valutazione e di controllo; l’azienda può essere finanziata con la sicurezza di raggiungere gli obiettivi di sviluppo prefissati con il supporto di un Partner operativo.

Ecco perché molto spesso la risposta finanziaria che riceviamo a fronte di un progetto sostenuto da Bartners è: “SI!”.

Nel precedente articolo abbiamo visto come alcune poste del Capitale Circolante abbiano un impatto sulle dinamiche finanziarie in azienda.

Un altro elemento a cui bisogna prestare attenzione è la coerenza, o meglio l’equilibrio, tra Fonti e Impieghi di capitale.

Gli impieghi di capitale non sono altro che i modi in cui decidiamo di investire la liquidità che abbiamo a disposizione.

Il primo modo di utilizzare la liquidità a disposizione è costituito dal pagamento di tutti quei beni e/o servizi di cui l’azienda ha bisogno perché gli stessi contribuiscono ad ottenere i prodotti/servizi che l’azienda stessa vuole vendere sul mercato.

Si tratta del pagamento di tutti quei costi che compongono tipicamente il Conto Economico dell’impresa (acquisti di materie prime/semilavorati, acquisti di servizi di terzi, pagamenti di salari e stipendi del personale assunto e dei relativi contributi etc ….) e si tratta, quindi, di impieghi di capitale che sono necessari in quanto fanno parte essi stessi dell’attività dell’azienda e che, in linea teorica, dovrebbero essere strettamente funzionali al compimento del ciclo produttivo aziendale e, di conseguenza, ritornare sotto forma finanziaria nel giro di un breve tempo con “attaccato” anche l’utile aziendale.

Sappiamo, però, che la realtà è ben diversa e spesso il ciclo di ri-trasformazione in forma monetaria delle uscite finanziarie a volte si allunga di molto, a volte addirittura si interrompe.

Ecco, quindi, che una parte di questi impieghi si possono ritrovare in azienda sotto forma appunto di Capitale Circolante, cioè in qualche modo “congelati” più o meno temporaneamente sotto forma di Magazzino (materie prime, semi-lavorati o prodotti finiti), Crediti Commerciali oppure anche sotto forma di una certa Liquidità a disposizione utile per far fronte a spese improvvise o impreviste.

 

Un altro modo, poi, per impiegare il capitale a disposizione può essere individuato negli investimenti in Immobilizzazioni Materiali (ad esempio attrezzature e macchinari, automezzi, immobili produttivi, etc …) Immateriali (ad esempio investimenti in software, in attività di marketing etc…) o Finanziarie (ad esempio acquisti in partecipazioni di altre società).

Ciò che differenzia gli investimenti in Capitale Circolante ed in Immobilizzazioni è sostanzialmente il tempo in cui il capitale investito dovrebbe ritornare nuovamente sotto forma di liquidità e con essa anche il rendimento associato all’investimento stesso.

Gli investimenti in capitale circolante generalmente dovrebbero avere un tempo di ri-trasformazione in liquidità nell’arco di 6-12-18 mesi (vendo i prodotti immagazzinati, i crediti si trasformano in incassi dai clienti etc ..) mentre il capitale investito in immobilizzazioni ha, di norma, tempi molto lunghi di ri-trasformazione in liquidità per l’azienda. 

Si pensi ad un immobile che l’azienda acquista ai fini dello svolgimento dell’attività. Questo si ritrasformerà in liquidità probabilmente dopo tantissimi anni e, nella peggiore delle ipotesi, il business generato potrebbe non portare marginalità sufficienti, nel corso degli anni, non solo a generare un’accettabile redditività dell’investimento ma addirittura a pagare l’immobile stesso. 

Oppure si pensi all’acquisto di un macchinario ai fini produttivi. Questo dovrebbe trasformarsi nuovamente in liquidità attraverso il ciclo di produzione – vendita dei prodotti che è in grado di generare. Ma siccome un macchinario si ammortizza con il suo uso negli anni (attraverso la produzione generata), anche qui saremo di fronte ad una ri-trasformazione completa molto lunga.

Ma perché è importante valutare attentamente i tempi di ritorno degli investimenti in liquidità? 

Perché questi debbono essere sostenuti da Fonti di Capitale che devono essere altrettanto ben calibrate. 

Se ci troviamo, infatti:

(A) a finanziare degli investimenti in immobilizzazioni con capitale che dovrà essere restituito in un arco temporale più breve rispetto ai tempi di ri-trasformazione in liquidità degli investimenti stessi, l’azienda si troverà in crisi di liquidità (a meno che tale sfasamento non sia coperto dalla capacità di autofinanziamento che l’azienda sia in grado di generare nel breve termine).

(B) Qualora, invece, ci trovassimo a finanziare investimenti in capitale circolante con fonti non a breve termine non ottimizzeremmo la finanza aziendale in quanto ci troveremmo ad avere delle disponibilità liquide in azienda (per la più breve ri-trasformazione in liquidità del capitale circolante) a fronte di finanziamenti che, per quanto a buon mercato, spesso comportano una certa onerosità, sia in termini di garanzie che in termini di costi, quest’ultimi a discapito dei profitti dell’azienda.

E’ ben vero che il caso (A) è ben più grave e critico del caso (B) ma la piena consapevolezza di questi concetti in azienda deve soprattutto portare a fare scelte ragionate e non “a naso” come spesso succede.

La buona regola, perciò, è quella di calibrare Impieghi a breve termine con Fonti di finanziamento a breve termine e Impieghi di medio-lungo termine con Fonti di finanziamento di medio-lungo termine e, contemporaneamente, monitorare i tempi di ri-trasformazione in liquidità degli impieghi stessi perché, altrimenti, potrebbero essere necessari anche dei correttivi proprio in termini finanziari (e mi sento di dire, per esperienza, che i correttivi non sono casi rari).

Nel prossimo articolo, per chiudere un po’ il cerchio del discorso, prenderemo in considerazione anche le Fonti di Capitale.

Nel nostro precedente articolo, attraverso un semplicissimo esempio, abbiamo evidenziato come le dinamiche economiche e quelle finanziarie, benché intrecciate, spesso abbiano caratteristiche e tempistiche differenti.

A voler puntualizzare un po’ meglio, se da un lato le dinamiche economiche sono le dinamiche che dovrebbero garantire la sopravvivenza nel tempo dell’azienda perché hanno a che fare con la capacità della stessa di generare reddito e, in ultima istanza, di creare autofinanziamento per la società, dall’altro l’azienda entra in crisi sempre per mancanza di liquidità.

Si comprende, quindi, come tale mancanza di liquidità possa generalmente derivare da:

  • Una gestione economica non profittevole che, di conseguenza, nel medio-lungo termine genera una mancanza di liquidità dovuta a perdite;
  • Una non corretta o, nei casi peggiori la mancanza, gestione finanziaria equilibrata.

Ecco allora qualche informazione utile per la gestione della tesoreria (la finanza aziendale quotidiana).

Il primissimo elemento a cui prestare attenzione è la coerenza tra i tempi di incasso dei ricavi (incassi da clienti) ed i tempi di pagamento dei costi (pagamenti ai fornitori).

E’ evidente che se siamo in presenza di uno sbilanciamento tra queste due partite (i tempi di incasso sono maggiori dei tempi di pagamento) l’azienda si troverà in perenne stato di crisi di liquidità a cui dovrà far fronte. Normalmente per far fronte a tale tipo di sbilanciamento si ricorre all’utilizzo di credito bancario attraverso gli affidamenti autoliquidanti (linee di salvo buon fine e linee di anticipo fatture) o attraverso fidi di cassa (un piccolo polmone finanziario che le banche mettono a disposizione proprio per sopperire ad improvvisi e imprevisti sbilanciamenti tra entrate e uscite per l’azienda).

L’utilizzo del credito bancario attraverso tali linee di affidamento è normale e spesso molto comodo ma dobbiamo sempre tenere a mente che ha un costo e che tale costo ha un impatto non solo in termini finanziari immediati (gli interessi e le commissioni bancarie si pagano a breve) ma anche in termini economici (il profitto aziendale si riduce).

Un altro elemento che molto spesso si sottovaluta o si gestisce in modo un po’ superficiale è il Magazzino.

La gestione del magazzino, che esso sia costituito da materie prime, semilavorati o merci/prodotti finiti da vendere, è una gestione importantissima perché parte delle risorse finanziarie sono investite proprio in questo comparto (infatti si tratta di una delle poste del Capitale Circolante ed il termine ci sta proprio ad indicare come il magazzino sia un investimento di capitale).

Avere un magazzino è sicuramente utile e, molte volte, indispensabile perché:

  1. Avere a disposizione un certo livello di materie prime o di prodotti permette all’azienda di far fronte a richieste di lavoro/vendita con tempi rapidi e la velocità di risposta alle richieste del mercato è spesso un fattore importante per avere la meglio su aziende concorrenti;
  2. Avere a disposizione un certo livello di magazzino consente una migliore pianificazione del lavoro da parte dell’azienda, senza che essa sia condizionata, se non in misura marginale, dai tempi di fornitura da parte dei fornitori;
  3. Spesso il magazzino consente anche di far fronte con un certo livello di rapidità (e di soddisfazione per il cliente finale) a richieste di intervento per guasti e/o malfunzionamenti e la rapidità/qualità in termini di assistenza è un fattore fondamentale per la fidelizzazione dei clienti e la buona pubblicità che questi possono fare all’azienda.

D’altra parte, però, avere il magazzino materie prime/prodotti comporta anche notevoli svantaggi:

  1. Il magazzino sono risorse finanziarie immobilizzate per un certo tempo (l’azienda ha acquistato o prodotto e ha messo in stock) e, quindi, ha utilizzato soldi che avrebbero potuto essere utilizzati per pagare qualcos’altro;
  2. Il magazzino è costituito da cose che possono diventare obsolete o possono deperire e quando questo accade spesso dobbiamo far fronte sia ad una perdita finanziaria (devo spendere ulteriori soldi per il ripristino o, peggio, non riesco più a venderle e quindi ad incassare i soldi immobilizzati) sia ad una perdita economica (in Conto Economico maggiori costi per il rispristino o minori ricavi di vendita o, nello Stato Patrimoniale, la svalutazione del magazzino stesso);
  3. La gestione di un magazzino comporta normalmente dei costi (e quindi anche delle uscite finanziarie) maggiori rispetto alla scelta di non avere alcun magazzino. Si pensi, ad esempio, al costo delle aree di immagazzinamento (superficie, attrezzature, riscaldamento/raffrescamento delle aree, costi per la messa in sicurezza, costi assicurativi etc..), ai costi di movimentazione e di logistica etc…;

Ci si potrebbe soffermare moltissimo su questo tema ma non è l’obiettivo di questo articolo. Tuttavia, l’importanza della gestione del magazzino e del suo impatto finanziario (ma anche organizzativo) è indiscutibile.

Si pensi che la “produzione snella” giapponese nasce in Toyota, in prima battuta, per gestire l’organizzazione della produzione cercando di limitare gli svantaggi e gli impatti finanziari del magazzino attraverso l’utilizzo del sistema di fornitura just in time.

Crediti, debiti commerciali e rimanenze/scorte sono poste del capitale circolante dell’azienda e la loro configurazione, la loro dinamica nel corso del tempo, mai statica, contribuisce anch’essa alla capacità o alla difficoltà da parte dell’azienda di far fronte alle proprie obbligazioni di pagamento.

Ma certamente vi sono anche altri elementi che concorrono ad influenzare la dinamica finanziaria …. proveremo ad esaminarne qualcuno in uno dei prossimi articoli.

Ancora oggi, spesso, si tende a confondere e a non comprendere chiaramente il lato economico dell’impresa con il lato finanziario.

E’ ben vero che essi sono strettamente intrecciati ed anzi, potremmo dire che capire quale dei due origina dall’altro sarebbe come rispondere alla classica domanda che mi faceva sempre mio nonno: “E’ nato prima l’uovo o la gallina?”.

Tuttavia, pur nel loro intreccio indissolubile, dobbiamo, in azienda, aver ben chiaro che le dinamiche economiche e finanziarie vanno ben comprese e gestite entrambe con molta attenzione, senza confondere ragionamenti che ricadono in un campo con i ragionamenti che ricadono nell’altro.

Facciamo un esempio banale per meglio chiarire il concetto ed apriamo virtualmente un’impresa il giorno 30 Dicembre. L’impresa svolge tutta la sua attività operativa nell’arco di una giornata per poi tirare le somme (chiudere il Bilancio d’Esercizio) esattamente il 31 Dicembre.

Per far nascere la nostra impresa mettiamo a disposizione 100 Euro (Capitale Sociale), che metteremo all’interno del portafoglio dell’azienda (Cassa).

Utilizziamo questi 100 Euro (Uscita di cassa) per acquistare e pagare immediatamente un prodotto (Acquisti) che rivendiamo subito ad un cliente a 150 Euro (Ricavi). L’acquirente non ci paga però subito, ci pagherà tra un mese. Nascerà per l’azienda, quindi, un credito da riscuotere tra un po’ di tempo (Crediti verso Clienti).

Chiudiamo, perciò, il nostro Bilancio riportando i classici Stato Patrimoniale e Conto Economico dell’impresa a sezioni contrapposte.

Come possiamo ben notare, siamo partiti con dei soldi (Disponibilità liquide) di 100 Euro, l’impresa nello svolgimento delle sue attività ha realizzato anche un ottimo profitto economico (50 euro di Utile) ma… alla fine del nostro esercizio ci ritroviamo senza soldi nel portafoglio. Abbiamo solamente un credito, cioè la promessa che il nostro cliente tra un mese ci pagherà.

Ma se oggi dovessimo pagare 20 Euro di tasse, cosa succederebbe? 

CRISI DI LIQUIDITA’. L’azienda non sarebbe in grado di far fronte ad una propria obbligazione di pagamento, le imposte (che probabilmente si chiamano così proprio perché ci sono imposte 12).

Da questo esempio banale, quindi, comprendiamo che pur essendo intrecciate, le dinamiche economiche e le dinamiche finanziarie in azienda sono dinamiche ben diverse da gestire.

E più aumentano il numero ed il valore delle transazioni aziendali, più la parte finanziaria tende ad “assumere vita propria”, tende cioè a “slegarsi”, a perdere un’evidente correlazione diretta con la dimensione economica, perché le dinamiche di entrate ed uscite di soldi diventano così complicate e si svolgono con tempistiche così differenti dalle dinamiche economiche, che sembrano viaggiare in modo parallelo e indipendente.

Cash is the king” va di moda ripetere in questo momento, e a ragione! perché quando un’azienda va in crisi di liquidità e non è più in grado di far fronte ai propri impegni di pagamento, la situazione può essere talmente grave da non consentire più il prosieguo dell’attività.

Ma ricordiamoci anche che i problemi di liquidità sono solo l’effetto finale di una serie di dinamiche che possono essere sia di tipo finanziario che economico.

Individuare dove stiano i punti di criticità e rimediare in breve tempo per salvare la situazione, come diceva mio nonno, è tutto un altro paio di maniche… (per giusta informazione, mio nonno non era un aziendalista ma aveva come riferimenti i classici “conti della serva” che oggi hanno lasciato il posto a complicatissimi software che dovrebbero fare tutto loro…).

Sabato, 23 Maggio 2020 17:48

La Filosofia Bartners

Scritto da

Bartners è il marchio commerciale di BarterCoin Service Srl, società di capitali, costituita nel Febbraio 2019 e diventata Start Up Innovativa a Luglio 2019 presso la Camera di Commercio di Udine, operante nel mondo delle piattaforme digitali per la commercializzazione di prodotti e servizi. La filosofia innovativa del Sistema Bartners è frutto di diversi anni di ricerca e di studio delle dinamiche commerciali attualmente in uso.


Il Sistema Bartners

È un nuovo modo di fare impresa, mettendo in primo piano l’importanza di attivare nuove sinergie con altre Aziende, usando anche il valore dei propri prodotti e servizi come strumento di pagamento.

Tre anni di studio e ricerca per creare un sistema che elimina le criticità dei sistemi esistenti, supportato dall’ultimissima generazione di software per la Business Automation (Marketing Automation, Digital Inbound Marketing, A.I.), progettato e strutturato esclusivamente per il Sistema Bartners.

Nuove professionalità, i Responsabili Commerciali o Consulenti Bartners (Solutions Miners) e gli Assistenti Bartners (Business Miner) sono formati per supportare costantemente, e nel tempo, le imprese nel Sistema, con l’obiettivo di individuare le esigenze e le criticità e trovare le soluzioni.

Un facilitatore di business e di pagamenti, la compensazione multilaterale, consente di pagare compensando il valore degli acquisti con il valore di successive vendite, e i nuovi strumenti finanziari fintech supportano gli investimenti, svincolando, in parte, l’impresa dai soliti strumenti finanziari del sistema bancario (quando vengono concessi).

Obiettivi

  • Aiutare le Aziende a creare sinergie tra loro in maniera strutturata.
  • Aiutare le Aziende ad entrare nell’era del Digital Inbound Marketing, acquisendo così nuova e più efficace visibilità.
  • Aiutare le Aziende a effettuare acquisti ottimizzando i costi, grazie al supporto della Business Intelligence (nella B.A.), dei pagamenti in compensazione multilaterale e i nuovi strumenti finanziari fintech.
  • Aiutare le Aziende a vendere i propri prodotti e servizi aprendosi a nuovi canali di vendita in tutta Europa, senza impegnarsi in investimenti che spesso portano scarsi risultati.
  • Aiutare le Aziende a migliorare la propria liquidità grazie ai pagamenti in compensazione multilaterale barter e al fatturato generato dalla compensazione stessa.

 

Quando le imprese affrontano in modo più o meno marcato una diminuzione dei ricavi e/o della marginalità delle vendite (quest’ultima, per esigenze di brevità, verrà rimandata ad un altro approfondimento) accade spesso che entrino in una fase di crisi di liquidità più o meno importante.

Se andiamo ad analizzarne le cause scopriamo che in tutte le aziende vi sono due tipologie di costi:

- I costi variabili, che normalmente si comprimono in automatico quando vi è una riduzione dei ricavi dato che il loro ammontare è strettamente dipendente dalle vendite (mentre non si comprimono o si comprimono molto poco se diminuiscono le marginalità delle stesse);

- I costi fissi che invece non si comprimono né in caso diminuiscano i fatturati né in caso diminuiscano i guadagni. Sono appunto costi fissi, altrimenti detti costi di struttura e cioè costi che l’azienda sopporta in virtù della struttura aziendale scelta ed implementata dalla governance. Un esempio di costo fisso importante può essere dato dal costo del personale dipendente. La governance (o nelle PMI spesso l’imprenditore o i soci/amministratori), infatti, a livello teorico, potrebbe scegliere di utilizzare una tipologia di lavoro diversa dall’utilizzo di persone alle proprie dipendenze, ad esempio ricorrendo a manodopera esterna (in appalto). In questo caso, infatti, qualora vi fosse diminuzione del fatturato, il costo del lavoro potrebbe configurarsi, e si configura normalmente, come un costo variabile e quindi anch’esso comprimibile. Il fatto che la governance decida di darsi una struttura con il costo “fisso” dei dipendenti ha motivazioni varie e diverse che tralasceremo in questa sede per esigenze di sintesi.

Molto spesso, poi, ci si chiede come imprese che abbiano realizzato utili negli esercizi precedenti a quello in cui si è verificato il calo del fatturato o delle marginalità, possano entrare in crisi di liquidità in breve tempo.

Che fine hanno fatto quegli utili?

Per le PMI, e in particolar modo per quelle nate da poco, in fondo, non vi è generalmente una distribuzione di dividendi ai soci, proprio per la necessità di continuare a re-investirli in azienda ai fini del consolidamento dell’impresa.

Beh, quegli utili, normalmente, sono “immobilizzati” e lo si capisce guardando a due classi di poste di bilancio:

- nell’ambito dell’Attivo Circolante sotto forma di crediti e rimanenze di magazzino;

- nell’ambito delle Immobilizzazioni, siano esse materiali, immateriali o finanziarie.

Mentre nel secondo caso la governance ha investito tutti o parte degli utili in alcuni asset aziendali che riteneva opportuno possedere perché necessari all’attività aziendale (ad esempio, un certo macchinario o la classica attrezzatura “pesante” quale immobilizzazione materiale, un software di gestione contabile o un programma di disegno tecnico quale immobilizzazione immateriale o un investimento in una nuova start up, o in una parte di capitale sociale di altra azienda quale immobilizzazione finanziaria), nel primo caso gli utili sono investiti in crediti concessi ai clienti (che rappresentano, quindi, mancati incassi nel presente posticipati nel futuro) ed in materiali/merci fermi a magazzino pronti per essere utilizzati nel proprio ciclo di creazione del valore aggiunto.

La criticità sta nel fatto che queste “poste” non siano in grado di trasformarsi in liquidità immediata in caso di bisogno. Se è chiaro che le immobilizzazioni hanno una capacità di trasformarsi in liquidità molto scarsa (lo dice il nome stesso) in quanto l’impresa deve vendere un bene (duraturo) normalmente di elevato valore (ed è per questi motivi che è soggetto ad ammortamento), molto meno lampante è il fatto che:

- una parte più o meno consistente dei crediti possono trasformarsi in crediti deteriorati o peggio in sofferenza, crediti cioè che l’azienda non incasserà più, in parte o in toto, ed a maggior ragione nel caso in cui le aziende da cui derivano i crediti affrontassero delle spirali di difficoltà.

- il magazzino materie/merci difficilmente si trasforma in liquidità dato che, nel momento in cui l’azienda tenta di venderlo per far fronte a crisi di liquidità, si scopre spesso che il suo valore di mercato è nettamente inferiore al suo valore di acquisto (e contabile), magari anche per effetto di un calo della domanda di settore (per cause varie). Ovviamente ciò dipende anche dalla tipologia e dalle quantità dei beni che compongono il magazzino, ma generalmente così capita.

Al di fuori, quindi, del proprio ciclo di creazione di valore ed in caso di necessità di recupero di liquidità, abbiamo visto come gli utili degli esercizi precedenti, immobilizzati, possano trasformarsi in un dato momento in “utili fittizi” ai fini finanziari, sui quali, tra l’altro, l’azienda ha pagato fior di imposte (altra componente finanziaria negativa).

Questo è ciò che è accaduto e che sta accadendo a causa della recente pandemia, che è una causa esogena e trasversale a quasi tutti i settori economici.

“…… il Re è nudo!!!”

Il Covid 19, quindi, ha assunto in questi mesi la forma del bambino della famosa fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” di Andersen, ha messo cioè in risalto, per le dinamiche sopra descritte, quanto le imprese italiane (ma non solo italiane) siano fragili, cioè, come afferma Nassim Taleb nei suoi libri, soggette ad entrare in crisi o, nei casi più gravi, a morire se investite da un qualche cigno nero di sorta.

Il cigno nero per Taleb si definisce in breve come un evento imprevedibile, improvviso e di ampia portata.

La pandemia, appunto, assume queste caratteristiche (almeno per tutti quelli che non avevano visto lo speech di Bill Gates nel 2015 in cui ne parlava) ma dal punto di vista delle imprese, un cigno nero potrebbe essere pure rappresentato anche dal fallimento di un proprio cliente verso cui siano molto esposte in termini di crediti (sappiamo bene come le PMI difficilmente adottino strategie, anche minime, per valutare ex ante ed ex post la bontà di un cliente).

Questa breve analisi non si concluderebbe degnamente senza una proposta di soluzione che potrebbe benissimo coincidere con l’adozione di comportamenti diversi e virtuosi da parte delle imprese, consistenti in:

1) Monitoraggio a priori e continuo nel tempo dei propri clienti e, quindi, anche della quantità e qualità dei propri crediti per adottare strategie che tendano a minimizzare le sofferenze;

2) Monitoraggio continuo della composizione del proprio magazzino per adottare strategie che tendano a massimizzarne la liquidabilità in caso di necessità;

3) Valutazione attenta degli investimenti in asset anche nei termini della loro capacità temporale di ri-trasformazione in liquidità (ed anche di rapido azzeramento degli eventuali debiti contratti per il loro acquisto);

4) Monitoraggio continuo dell’ammontare dei propri costi di struttura in modo da poter creare un adeguato accantonamento “vero”, non puramente contabile, di liquidità, anche minimamente remunerato e, a necessità, immediatamente utilizzabile per far fronte ad eventi imprevisti e a copertura dei propri costi fissi per un periodo temporale da decidere (3 mesi – 6 mesi ….).

Da un punto di vista aziendalistico quest’ultimo punto potrebbe sembrare una bestialità.

Infatti, se si operassero in real time le giuste rettifiche ai numeri aziendali non si creerebbe l’illusione di aver ottenuto un utile aziendale e della relativa liquidità disponibile (che come abbiamo visto, però, potrebbe benissimo essere reale come pure fittizia, alla pari dell’utile).

Dal punto di vista finanziario, poi, accantonare della liquidità in questo modo potrebbe dar adito a critiche nei termini di un suo utilizzo in modo non efficiente e redditizio.

Come ben si può capire, però, le dinamiche aziendali reali quasi sempre sono soggette a difficoltà, sfasamenti ed imprevisti che difficilmente le teorie, che sono un riferimento ma indagano sulle dinamiche ideali, riescono a cogliere e, come insegnano gli studiosi dei sistemi complessi adattivi (e l’azienda è un sistema complesso adattivo), se vogliamo trasformare un sistema fragile in un sistema resiliente (cioè capace di adattarsi e di sopravvivere ai mutamenti dell’ambiente in cui opera e con cui interagisce) una delle vie più sensate è quella di dotarlo di una certa ridondanza, anche se ne va della massima efficienza perseguibile.

E quale ridondanza interna migliore se non quella finanziaria?