Venerdì, 15 Maggio 2020 11:49

Finanza e Pandemia o Pandemia della Finanza?

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Quando le imprese affrontano in modo più o meno marcato una diminuzione dei ricavi e/o della marginalità delle vendite (quest’ultima, per esigenze di brevità, verrà rimandata ad un altro approfondimento) accade spesso che entrino in una fase di crisi di liquidità più o meno importante.

Se andiamo ad analizzarne le cause scopriamo che in tutte le aziende vi sono due tipologie di costi:

- I costi variabili, che normalmente si comprimono in automatico quando vi è una riduzione dei ricavi dato che il loro ammontare è strettamente dipendente dalle vendite (mentre non si comprimono o si comprimono molto poco se diminuiscono le marginalità delle stesse);

- I costi fissi che invece non si comprimono né in caso diminuiscano i fatturati né in caso diminuiscano i guadagni. Sono appunto costi fissi, altrimenti detti costi di struttura e cioè costi che l’azienda sopporta in virtù della struttura aziendale scelta ed implementata dalla governance. Un esempio di costo fisso importante può essere dato dal costo del personale dipendente. La governance (o nelle PMI spesso l’imprenditore o i soci/amministratori), infatti, a livello teorico, potrebbe scegliere di utilizzare una tipologia di lavoro diversa dall’utilizzo di persone alle proprie dipendenze, ad esempio ricorrendo a manodopera esterna (in appalto). In questo caso, infatti, qualora vi fosse diminuzione del fatturato, il costo del lavoro potrebbe configurarsi, e si configura normalmente, come un costo variabile e quindi anch’esso comprimibile. Il fatto che la governance decida di darsi una struttura con il costo “fisso” dei dipendenti ha motivazioni varie e diverse che tralasceremo in questa sede per esigenze di sintesi.

Molto spesso, poi, ci si chiede come imprese che abbiano realizzato utili negli esercizi precedenti a quello in cui si è verificato il calo del fatturato o delle marginalità, possano entrare in crisi di liquidità in breve tempo.

Che fine hanno fatto quegli utili?

Per le PMI, e in particolar modo per quelle nate da poco, in fondo, non vi è generalmente una distribuzione di dividendi ai soci, proprio per la necessità di continuare a re-investirli in azienda ai fini del consolidamento dell’impresa.

Beh, quegli utili, normalmente, sono “immobilizzati” e lo si capisce guardando a due classi di poste di bilancio:

- nell’ambito dell’Attivo Circolante sotto forma di crediti e rimanenze di magazzino;

- nell’ambito delle Immobilizzazioni, siano esse materiali, immateriali o finanziarie.

Mentre nel secondo caso la governance ha investito tutti o parte degli utili in alcuni asset aziendali che riteneva opportuno possedere perché necessari all’attività aziendale (ad esempio, un certo macchinario o la classica attrezzatura “pesante” quale immobilizzazione materiale, un software di gestione contabile o un programma di disegno tecnico quale immobilizzazione immateriale o un investimento in una nuova start up, o in una parte di capitale sociale di altra azienda quale immobilizzazione finanziaria), nel primo caso gli utili sono investiti in crediti concessi ai clienti (che rappresentano, quindi, mancati incassi nel presente posticipati nel futuro) ed in materiali/merci fermi a magazzino pronti per essere utilizzati nel proprio ciclo di creazione del valore aggiunto.

La criticità sta nel fatto che queste “poste” non siano in grado di trasformarsi in liquidità immediata in caso di bisogno. Se è chiaro che le immobilizzazioni hanno una capacità di trasformarsi in liquidità molto scarsa (lo dice il nome stesso) in quanto l’impresa deve vendere un bene (duraturo) normalmente di elevato valore (ed è per questi motivi che è soggetto ad ammortamento), molto meno lampante è il fatto che:

- una parte più o meno consistente dei crediti possono trasformarsi in crediti deteriorati o peggio in sofferenza, crediti cioè che l’azienda non incasserà più, in parte o in toto, ed a maggior ragione nel caso in cui le aziende da cui derivano i crediti affrontassero delle spirali di difficoltà.

- il magazzino materie/merci difficilmente si trasforma in liquidità dato che, nel momento in cui l’azienda tenta di venderlo per far fronte a crisi di liquidità, si scopre spesso che il suo valore di mercato è nettamente inferiore al suo valore di acquisto (e contabile), magari anche per effetto di un calo della domanda di settore (per cause varie). Ovviamente ciò dipende anche dalla tipologia e dalle quantità dei beni che compongono il magazzino, ma generalmente così capita.

Al di fuori, quindi, del proprio ciclo di creazione di valore ed in caso di necessità di recupero di liquidità, abbiamo visto come gli utili degli esercizi precedenti, immobilizzati, possano trasformarsi in un dato momento in “utili fittizi” ai fini finanziari, sui quali, tra l’altro, l’azienda ha pagato fior di imposte (altra componente finanziaria negativa).

Questo è ciò che è accaduto e che sta accadendo a causa della recente pandemia, che è una causa esogena e trasversale a quasi tutti i settori economici.

“…… il Re è nudo!!!”

Il Covid 19, quindi, ha assunto in questi mesi la forma del bambino della famosa fiaba “I vestiti nuovi dell’Imperatore” di Andersen, ha messo cioè in risalto, per le dinamiche sopra descritte, quanto le imprese italiane (ma non solo italiane) siano fragili, cioè, come afferma Nassim Taleb nei suoi libri, soggette ad entrare in crisi o, nei casi più gravi, a morire se investite da un qualche cigno nero di sorta.

Il cigno nero per Taleb si definisce in breve come un evento imprevedibile, improvviso e di ampia portata.

La pandemia, appunto, assume queste caratteristiche (almeno per tutti quelli che non avevano visto lo speech di Bill Gates nel 2015 in cui ne parlava) ma dal punto di vista delle imprese, un cigno nero potrebbe essere pure rappresentato anche dal fallimento di un proprio cliente verso cui siano molto esposte in termini di crediti (sappiamo bene come le PMI difficilmente adottino strategie, anche minime, per valutare ex ante ed ex post la bontà di un cliente).

Questa breve analisi non si concluderebbe degnamente senza una proposta di soluzione che potrebbe benissimo coincidere con l’adozione di comportamenti diversi e virtuosi da parte delle imprese, consistenti in:

1) Monitoraggio a priori e continuo nel tempo dei propri clienti e, quindi, anche della quantità e qualità dei propri crediti per adottare strategie che tendano a minimizzare le sofferenze;

2) Monitoraggio continuo della composizione del proprio magazzino per adottare strategie che tendano a massimizzarne la liquidabilità in caso di necessità;

3) Valutazione attenta degli investimenti in asset anche nei termini della loro capacità temporale di ri-trasformazione in liquidità (ed anche di rapido azzeramento degli eventuali debiti contratti per il loro acquisto);

4) Monitoraggio continuo dell’ammontare dei propri costi di struttura in modo da poter creare un adeguato accantonamento “vero”, non puramente contabile, di liquidità, anche minimamente remunerato e, a necessità, immediatamente utilizzabile per far fronte ad eventi imprevisti e a copertura dei propri costi fissi per un periodo temporale da decidere (3 mesi – 6 mesi ….).

Da un punto di vista aziendalistico quest’ultimo punto potrebbe sembrare una bestialità.

Infatti, se si operassero in real time le giuste rettifiche ai numeri aziendali non si creerebbe l’illusione di aver ottenuto un utile aziendale e della relativa liquidità disponibile (che come abbiamo visto, però, potrebbe benissimo essere reale come pure fittizia, alla pari dell’utile).

Dal punto di vista finanziario, poi, accantonare della liquidità in questo modo potrebbe dar adito a critiche nei termini di un suo utilizzo in modo non efficiente e redditizio.

Come ben si può capire, però, le dinamiche aziendali reali quasi sempre sono soggette a difficoltà, sfasamenti ed imprevisti che difficilmente le teorie, che sono un riferimento ma indagano sulle dinamiche ideali, riescono a cogliere e, come insegnano gli studiosi dei sistemi complessi adattivi (e l’azienda è un sistema complesso adattivo), se vogliamo trasformare un sistema fragile in un sistema resiliente (cioè capace di adattarsi e di sopravvivere ai mutamenti dell’ambiente in cui opera e con cui interagisce) una delle vie più sensate è quella di dotarlo di una certa ridondanza, anche se ne va della massima efficienza perseguibile.

E quale ridondanza interna migliore se non quella finanziaria?

 

 

Dr. Riccardo Bordignon

Strategia e Finanza d'Impresa - REKALL
Project e Corporate Finance
Risk Management e Crisis Management

https://www.linkedin.com/in/riccardobordignon/
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